Da
oltre tre mesi non mi faccio vivo. Forse semplicemente perché non sono “vivo” e
ciò che mi succede nella vita non è così piacevolmente condivisibile con tutti
voi. Sono mesi di lotta per la sopravvivenza, per racimolare quel po’ di euro
che mi servono per le spese basilari. Non per tutte purtroppo: ad esempio il
Wanderer e la Vespa necessiterebbero di un poderoso tagliando che rimando ormai
da troppo tempo. Ma così è.
Oltre
alla mancanza di lavoro e denaro, anche gli aspetti burocratici mi trattengono
nella mia città: Sara ed io abbiamo deciso di inoltrare una pratica di divorzio
breve che nel giro di pochi mesi pare otterremo recandoci in Spagna una sola
volta per firmare davanti a un giudice. Suddetto divorzio sarà, come da leggi
di diritto comunitario, trascrivibile anche in Italia. In tre o quattro mesi
otterremo quello che in Italia è ottenibile solo in quattro anni, o forse più.
Una vergogna, una delle tante di un paese in cui le battaglie per i diritti
sociali vanno sempre a rilento. Le spese del suddetto divorzio verranno
sostenute da Sara (che ha avuto più possibilità di lavoro nell’ultimo anno e
mezzo della nostra separazione), visto che il sottoscritto negli anni passati
si è messo sulle spalle ben altri oneri.
In
questi mesi ho trovato poco lavoro mettendo varie inserzioni in cui mi offrivo
per differenti mansioni. In una di queste scrivevo “Uomo 52enne italiano
offresi come badante, autista, notti in ospedale, accompagnatore” e mi sarei
atteso un onesto lavoro da badante magari per accompagnare qualche arzilla
vecchietta sulla sua sedia a rotelle in giro per la città.
Invece
ho ricevuto una strana proposta da parte di una donna ungherese, poco oltre la
quarantina, ex terzo posto a Miss Ungheria, ex modella, ex ragazza immagine e
di recente uscita dall’ospedale a seguito di un crollo nervoso dovuto agli eventi
traumatici accaduti nella sua vita. Non volendo stare da sola a causa delle sue
condizioni psicologiche, per alcune settimane mi ha voluto pagare affinché le
facessi compagnia, andassi al cinema con lei e a passeggiare per la città con
il suo cane. E’ stata solo una breve e curiosa parentesi nell’attesa di un
lavoro più serio e consistente.
Un’altra
opportunità offertami, questa volta tramite amici, è stata quella di fare l’imbianchino,
lavoro che non avevo mai fatto nella mia vita e che, nonostante un po’ di
fatica fisica, sono stato contento di imparare.
Volevo
fare il pittore (nel senso di dipingere quadri) e questo forse è il lavoro che
si avvicina di più, accidenti…! J
Scherzi del destino!
Ma
la vita che faccio continua ad essere insoddisfacente e di un livello
energetico vitale molto basso. Eppure resisto, è nonostante quello che sta per
concludersi sia stato uno dei peggiori anni della mia vita, non sono nemmeno
così depresso come si potrebbe pensare. Si, a volte sono triste, a volte
arrabbiato, a volte stanco da morire, ma per ora non userei la parola
depressione. Oggi pensavo che la scuola del viaggio un po’ mi ha temprato,
anche se ci sono, non lo nascondo, attimi di grande e profonda stanchezza
interiore che mi fanno rinchiudere in me stesso ed essere poco socievole.
Viaggiare
come ho fatto io per anni nel mondo, con lo zaino in spalla, con ogni mezzo
possibile di trasporto, per mari e oceani, per foreste e deserti, lungo i fiumi
e per le montagne, mi ha insegnato a prendere la vita come un’avventura, a
volte faticosa e difficile, ma che pur sempre vale la pena di affrontare. Non
ultima la grande esperienza di oltre quattro anni a bordo del Wanderer, lottando
per poter vivere lavorando e viaggiando in modo itinerante e nomade, che tuttora continua.
Viaggiare
così è una vera e propria scuola di vita e non è certo fare turismo o una
vacanza prolungata come spesso mi sono sentito dire dai miei più accaniti
critici, in ambito familiare e non. Viaggiare per mesi o anni è una cosa
completamente differente. Ogni tanto capita di sentire persone che affermano di
voler fare una vacanza tranquilla, in spiaggia, sotto il sole, perché sono
stanchi delle fatiche lavorative e non se la sentono di stancarsi anche in
viaggio. Comprensibile ma sinceramente faccio fatica a capirli: anche durante i
lunghi periodi della mia vita in cui ho lavorato come tutti per 11 mesi all’anno,
non appena mi era possibile prendevo la moto o un aereo, o facevo l’autostop
per godermi un viaggio, un’esplorazione nuova, un paese da scoprire , un’avventura
da vivere, anche faticosa certo, ma sempre remunerativa dal punto di vista
della mia gioia di vivere. Quando uno ama la dimensione del viaggio non può
soffermarsi troppo a fare il turismo riposante su un lettino da spiaggia di
qualche spiaggia tropicale. In realtà
chi fa sempre questa scelta costante di tipologia vacanziera, è tutto meno che
un viaggiatore. Viaggiare è faticoso, comporta
resistenza, spirito di adattamento, scomodità, coraggio, capacità di rischiare,
di andare incontro agli imprevisti che sono frequenti fuori dal comodo
villaggio turistico in cui si è accuditi e protetti in tutto e per tutto, come
in una gabbia dorata.
La
dimensione del viaggio è proprio un’altra cosa, ed essendo faticosa non tutti
la prediligono e la scelgono, raccontandosi poi che hanno bisogno di una
vacanza riposante in cui sono serviti e riveriti.
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