Bollettino
di guerra.
Non
credo di poter essere smentito se affermo che questa è una guerra.
Una
strana guerra economico politico finanziaria lavorativa emigratoria e
immigratoria. Una guerra che si combatte con armi più o meno evidenti e che lascia sul campo morti
e feriti, se non fisicamente, (ma anche direi, visto l’aumento dei suicidi),
almeno moralmente parlando.
In
questa notte insonne ho ripercorso molti anni, molti ambienti di lavoro, ricordando
molti conoscenti e amici incontrati e spesso perduti lungo il cammino. Il
panorama, lavorativamente e umanamente parlando, è piuttosto devastato e
sconsolante.
Delle
banche, aziende, società e attività varie che hanno attraversato la mia
variegata vita professionale non resta un gran che. La maggioranza assoluta dei
lavori e degli impieghi che ho avuto li avrei comunque persi per la chiusura o
il fallimento di quelle attività, o sarebbero perlomeno stati stravolti da
fusioni, acquisizioni, tagli o radicali trasferimenti che hanno modificato in
peggio la vita di tutti coloro che sono stati coinvolti.
Sul
campo restano molti feriti lievi, un gran numero di feriti gravi e diversi
morti.
Io
mi guardo intorno, so che le mie energie basteranno ancora per pochi mesi, non
ho molto carburante da mettere nel mio motore e le speranze di sopravvivere a
questa guerra si affievoliscono.
I
dubbi e i sensi di colpa per le mie eventuali responsabilità inevitabilmente si
fanno largo alimentati dall’ansia. Errori ce ne sono stati e la frusta verso me
stesso la uso più di quanto vorrei e forse mi meriti, ma non la darò a chi
vuole usarla contro di me per sadica stupidità o invidia inconscia verso le mie
scelte e quello che, nel bene e nel male, mi hanno regalato.
Certo
non ho risparmiato e non mi sono risparmiato nel tentativo di vivere questa esistenza
non subendola, strappandomi qualche anno di vita “libera” da quella troppo preconfezionata
che quasi ognuno di noi si trova davanti nascendo.
Pare
che la sfida finale – la sopravvivenza economica del nostro progetto di
vita-lavoro itinerante - per ora la stiamo perdendo, come del resto è successo
a tanti amici che han fatto scelte ben più tradizionali e socialmente accettate
della nostra, e che sono stati comunque travolti da questa strana guerra.
A
me restano gli anni di viaggio per il mondo, ricordi che spero continueranno a
dare un senso ai prezzi pagati, che nessuno potrà mai portarmi via.
Le
probabilità di rientrare nel mondo del lavoro, anche per un semplice lavoro
stagionale, adesso appaiono scarse come quelle di vincere giocando un’improbabile
schedina o acquistando un biglietto della lotteria.
Per
persone come noi le formule di “aiuto” da parte di uno stato assistenziale come
il nostro forse arriveranno solo ad uno stadio terminale, ben lontane dalle
misure esistenti in uno stato sociale di tipo evoluto come quelli dell’Europa
del nord.
Mi
guardo intorno in questo campo di battaglia e forse in questo momento non ho
più la forza e la lucidità per capire cosa sta accadendo, cosa posso fare e
cosa davvero potrà accadere quando tra pochi mesi i nostri soldi finiranno.
In
questo momento il mio sguardo allucinato non vede altro che un doloroso
panorama di persone sofferenti del mio stesso dolore. Chi avrebbe immaginato
che questa guerra durasse così a lungo?
Da
anni ho sempre guardato ai senzatetto di tutto il mondo con un misto di fascino
e paura, forse sapendo dentro di me che un giorno sarei stato uno di loro.
Ma
la guerra non è ancora finita.
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