Contemporaneamente alla mostra
visitata negli ultimi giorni era, per me in corso la lettura del libro di Juan
Martin Guevara, il fratello minore di Ernesto Che Guevara, che ho terminato la
scorsa notte. Desidero qui condividere due brani tratti dalla parte conclusiva
del libro. Non posso che sentirmi pienamente in sintonia con quanto espresso in
essi e credo esprimano concetti e contenuti di grande importanza per il nostro
tempo.
"Nel corso del ventesimo secolo
alcune risposte sono state la lotta armata, la rivoluzione, l'insurrezione, le
rivolte. Oggi possiamo dire che questi metodi non sono i migliori. D'altra
parte non c'è dubbio che il capitalismo non si estinguerà da solo. Non dirà:
"Ok, va bene voglio un mondo migliore. Basta, mi fermo qui, mi
arrendo."
Il grande problema è trovare la strada
che porta all'equità, alla giustizia. Il Che era a favore della lotta armata,
perché credeva che fosse l'unico modo di mettere fine una volta per tutte
all'imperialismo. Dobbiamo aspettare che il boia ci tagli la testa, che Dracula
ci succhi tutto il sangue, o è il caso di prendere le armi per difenderci?
Negli ultimi anni siamo stati testimoni di situazioni di aggressione contro il
popolo, come ad esempio la crisi dei mutui subprime e dei pignoramenti
immobiliari. Eppure non c'è stata una grande mobilitazione. Coscienti del male
che fanno, i potenti producono la disinformazione e la distrazione necessarie
all'abbruttimento delle masse. La gente è troppo depoliticizzata, e non solo
negli Stati Uniti.
La difesa accanita della proprietà
privata, dell'individualismo e dell'egoismo è così radicata nella società che è
diventato estremamente difficile organizzare il popolo. Quest'ultimo crede che
non ci sia soluzione, non ci sia alternativa. È diventato fatalista. E allora,
come mai alla fine mi sono deciso a parlare? Perché questo libro e
l'associazione? La risposta alla prima domanda è che mi trovo sempre di fronte
a un'evidenza: è necessario trasformare la società. Rivendico gli ideali di mio
fratello. Parlo in suo nome. Perché sia possibile studiare i grandi pensatori
della storia, ci deve pur essere qualcuno che li legga con dedizione, li
pubblichi e li cataloghi.
È ciò che faccio con l'associazione.
La risposta alla seconda domanda è che, se svolgessi la mia missione "in
solitaria", potrebbero mettermi i bastoni fra le ruote - a parte il fatto
che ho 72 anni. I nemici del popolo non possono fare nulla contro un libro, e
men che meno se pubblicato in Francia. C'è stato un tempo in cui le opere
" sovversive" erano censurate in Argentina. Ora non più. Il metodo
usato oggi è di impedirci di leggere, spingendoci a guardare la televisione, a
navigare in Internet. È il motivo per cui io sono così contrario a questi
media. La loro immediatezza mi disturba.
Tutto ormai deve essere per forza
istantaneo, mentre invece dovremmo prenderci il tempo per pensare, per
riflettere. La tecnologia e i tempi moderni non lo consentono più. Visto che
sono un ottimista e penso che l'umanità non voglia la propria morte, dobbiamo
fare qualcosa e sento che il momento è propizio per la diffusione della
filosofia di Ernesto.
Il suo pensiero è così vasto e lui non
ha avuto il tempo di mettere in pratica i suoi principi fondamentali, e io ho
almeno il dovere di farli conoscere di più. Il Che aveva il dono di saper
motivare. Bisogna perciò riaccendere i riflettori su di lui."
"Il potere ha pensato di fare a
pezzi il Che in tutti i modi possibili, scegliendo di eliminarlo anziché
arrestarlo, facendo sparire il cadavere, infine dissacrando il suo spirito, la
lotta, gli ideali. L'hanno ammazzato e invece, malgrado tutto, è sopravvissuto.
Quante volte hanno dipinto la rivoluzione cubana come un'invasione straniera,
un'avanzata sovietica, invece di riconoscere che era un progetto nazionale e
patriottico? Non hanno anche descritto Ernesto come un assassino, un selvaggio,
un orrendo marxista? Neppure le calunnie hanno funzionato. I parolieri hanno
continuato a comporre canzoni (sono state dedicate al Che almeno una
cinquantina di ballate), gli scrittori a scrivere libri e i poeti poesie, gli
artisti di strada a dipingerlo sui muri e via di seguito. Così il Che continua
a vivere, è più che mai presente, volerlo annientare è un'illusione.
La strategia è dunque di mistificarlo,
di crocifiggerlo affinché l'umanità la smetta di considerarlo reale, tangibile.
Se è un mito, come seguire il suo esempio? Non è più un uomo in carne e ossa ma
una figura fantasmagorica inaccessibile, impossibile da emulare. Più aumenta la
sua leggenda, più il suo pensiero viene svilito. È diventato come una
conchiglia, bellissima, ma vuota. Pensate che sia casuale? Direi proprio di no.
È stato fatto un parallelo tra Cristo e il Che. Si assomigliano nella morte.
Ho detto nel primo capitolo di questo
libro, che la famosa foto di Ernesto giacente sulla lastra di cemento nella
lavanderia dell'ospedale di Vallegrande ricorda in modo inquietante il Lamento
sul Cristo morto di Andrea Mantegna. L'analogia, che (personalmente) trovo
inutile e pericolosa, ha trasformato Ernesto in Sant'Ernesto de La Higuera.
Le sue idee, la sua determinazione, la
sua capacità di lottare sfumano dietro alla leggenda. Ernesto era tutto tranne
un mistico, anche se si autodefiniva "un profeta ambulante". Ciò non
gli impediva di avere punti in comune con Cristo: l'umanità, la costante
preoccupazione per gli oppressi, la ribellione contro i potenti, il rifiuto
della ricchezza, la condanna dell'avidità. Gesù si è sacrificato per gli
uomini, il Che ha fatto lo stesso. Il Che combatteva per il popolo, ha
sacrificato la sua vita per lui. Ed è per questo, senza alcun dubbio, che la
sua immagine ha assunto una tale importanza così rapidamente, in appena 50
anni. Oggi le informazioni circolano a una velocità fenomenale. Si diffondono
universalmente nel giro di qualche secondo. Eppure abbiamo ancora molte cose da
scoprire su di lui. Come sarà percepito fra due millenni? Spero che non sia
diventato un personaggio di carattere religioso. La gente dovrà tener conto
della sua umanità, non della religiosità. La figura del Che persiste. È lì,
presente, e non possiamo liberarcene. Per alcuni continua a rappresentare un pericolo
reale. I giovani di tutto il mondo lo adottano come archetipo di ribellione, di
integrità, di lotta, di giustizia, di ideali.
Qualche esempio contemporaneo: mentre
va a incontrare Papa Francesco, il presidente boliviano Evo Morales porta una
giacca su cui è ricamata la figura del Che; ha pure un suo ritratto nell'
ufficio presidenziale. In Libano i manifestanti che protestano davanti alla
tomba del Primo ministro Rafiq Hariri contro la Siria, indossano maglie con
l'effige del Che. Il calciatore francese Thierry Henry si presenta a una festa
della Fifa con una maglia rossa e nera col Che. A Stavropol', in Russia, i
manifestanti che denunciano l'obbligo del pagamento in contanti per avere
l'assistenza sociale, sfilano con striscioni del Che. Nel campo profughi di
Dheisheh nella striscia di Gaza, ci sono insegne con l'immagine del Che su un
muro che commemora le vittime dell'Intifada. Il ribelle cinese e deputato di
Hong Kong Kwok-Hung sfida Pechino con una maglietta del Che. Infine, a
Hollywood, Carlos Santana interpreta la canzone del film "I diari della
motocicletta" e ha indosso una camicia del Che e un crocifisso in mano.
Il Che rappresenta la ribellione ai
poteri forti."
Da "Il Che, mio fratello" di
Juan Martin Guevara
Cliccate sulle foto per ingrandirle ed apprezzarle
maggiormente.
Molte più foto sono nel mio spazio in Facebook.
Chi desidera visionarle mi chieda il contatto
specificando il motivo “fotografico”.
Grazie.
Altri link dell’autore:
Il canale in You Tube dove trovare tutti i
minivideo di Gentleman Gipsy:
La pittura:
Le foto di“pop art”: curiosità, stranezze e poesia
del mondo come lo vedo io:
I libri pubblicati:
Nessun commento:
Posta un commento