Questa mattina, in una delle belle aree di sosta con bagni e docce gratuite incluse, situate lungo le autostrade polacche costruite non più di 12/15 anni fa (sul mio navigatore Garmin, comprato 12 anni fa, non ho mai trovato un paese con mappe così poco aggiornate e stravolte come questo), ho incontrato una coppia di ucraini intorno ai 60/65 anni.
Visto che ci trovavamo in una zona solamente a poche decine di chilometri dal confine ucraino, è stata una buona occasione per una chiacchierata con qualcuno che, come altri milioni di persone, scappava dal proprio paese lasciando alle spalle tutto, casa compresa. I due simpatici ucraini (lui pensionato con un passato da marinaio su navi cargo, con buona conoscenza dei porti italiani e di qualche parola di italiano e d’inglese), viaggiavano con la loro auto in discrete condizioni e piena zeppa di bagagli, verso la Finlandia.
Fuggiti proprio da Mariupol', una delle città ucraine più bombardate dai russi, dove hanno lasciato appunto la propria casa con tutte le finestre e il balcone distrutti dalle bombe.
I loro figli sono negli Stati Uniti mentre loro stanno cercando di raggiungere degli amici in Finlandia, che a detta loro è l’unico Stato europeo a offrire attualmente aiuti concreti (una casa e contributi economici per vivere) ai rifugiati. Ho parlato anche con l’addetto alla sinagoga di Zamość, città a soli 80 km dal confine ucraino, che mi ha informato sulla quantità di rifugiati che la Polonia ha accolto, spesso persone solo in transito verso altri paesi: circa 2 milioni.
Mi sono chiesto se l’informazione che mi hanno dato i due ucraini fosse vera: se dopo un periodo iniziale di apertura e di aiuti concreti, l’Europa si è già chiusa in sé stessa, e tutti ci siamo rassegnati a che questo conflitto sia ormai un qualcosa con cui convivere quotidianamente senza quasi pensarci più, se non perché ci tocca il portafoglio quando dobbiamo pagare la bolletta del gas.
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