The Wanderer (1885)

The Wanderer (1885)
Alla fine dell’800 in Gran Bretagna esisteva un tiro a due cavalli chiamato The Wanderer (il vagabondo, il viandante). Il dottor William Gordon Stables, un medico di origini scozzesi, commissionò la costruzione di questo veicolo ritenendo la vita itinerante all’aria aperta benefica per la salute. Su questi affascinanti veicoli da quel giorno iniziarono a viaggiare altri "gentlemen-gipsies" (gentiluomini zingari come vennero definiti a quei tempi), che diedero il via alle prime esplorazioni "plenair" grazie al loro spirito di avventura. Un sogno anche per noi che abitiamo in un mondo (oggi come ieri) limitato da fili spinati e confini, e afflitto da una burocrazia soffocante. Il mio blog e i libri che ho scritto sono dedicati a quegli uomini. Un inno di libertà, a favore dell’utopica libera circolazione degli esseri umani su questo meraviglioso pianeta.

11 dicembre 2023

Pentidattilo, il villaggio fantasma degli artigiani

    Posto a 250 metri s.l.m. Pentidattilo sorge arroccato sulla rupe del Monte Calvario, dalla caratteristica forma che ricorda quella di una ciclopica mano con cinque dita, e da cui deriva il nome del borgo in lingua greca, cioè "cinque dita". 

     Quello che era l'antico paese, a 320 metri di altitudine, è stato definitivamente abbandonato nel 1971, dopo che, tre anni prima, era stato dichiarato inabitabile: la popolazione era infatti migrata leggermente più a valle formando un nuovo piccolo centro dal quale si poteva ammirare il vecchio paese fantasma. 

    Fu completamente abbandonato fino ai primi anni 1980, quando fu riscoperta da giovani ed associazioni. Iniziò così un lento cammino di recupero ad opera di volontari provenienti da tutta Europa. Artigiani locali hanno aperto alcune botteghe per la vendita dei propri prodotti. Mi hanno detto che gli abitanti che ci vivono stabilmente sono solo tre.

    Il drone video nel seguente link: https://youtu.be/8N9htT7z7YQ?feature=shared

   Nella seconda metà del XVII secolo il paese di Pentidattilo fu teatro di un crudele misfatto noto come Strage degli Alberti, riportato alla luce dal romanzo di Andrea Cantadori "La tragedia di Pentidattilo".

      Protagonisti di questa vicenda furono i membri di due nobili famiglie; quella degli Alberti, marchesi di Pentidattilo, e quella degli Abenavoli, baroni di Montebello Ionico ed ex feudatari di Pentidattilo. 

   Fra le due famiglie per lungo tempo vi era stata un'accesa rivalità per questioni relative ai confini comuni; tuttavia verso il 1680 le tensioni fra le due casate sembravano andare scemando sia per pressioni del Viceré, che intendeva pacificare la zona, sia perché il capostipite della famiglia Abenavoli, il barone Bernardino, progettava di prendere in moglie Antonietta, figlia del marchese Domenico Alberti. 

      Nel 1685 il marchese Domenico morì e gli succedette il figlio Lorenzo, che alcuni mesi dopo la morte del padre sposò Caterina Cortez, figlia di don Pedro Cortez, consigliere del Viceré di Napoli, Gaspar Méndez de Haro y Guzmán. In occasione di tale matrimonio da Napoli giunse in Calabria un lungo e sontuoso corteo che comprendeva, oltre alla sposa, don Pedro Cortez con la moglie e il figlio Don Petrillo Cortez. 

   Don Petrillo ebbe quindi occasione di conoscere Antonietta e, rimasto dopo le nozze con la madre a Pentidattilo, causa una sua improvvisa malattia, ebbe l'occasione di frequentarla e di innamorarsene; chiese dunque a Lorenzo di poter sposare Antonietta ed il marchese Alberti acconsentì alle nozze della sorella. 

     La notizia del fidanzamento ufficiale fra Don Petrillo Cortez e Antonietta Alberti mandò su tutte le furie il barone Bernardino Abenavoli che, ferito nei sentimenti e nell'orgoglio, decise di vendicarsi su tutta la famiglia Alberti. 

    Nella notte del 16 aprile 1686 Bernardino, grazie al tradimento di Giuseppe Scrufari, servo infedele degli Alberti, si introdusse all'interno del castello di Pentidattilo con un gruppo di uomini armati. Giunto nella camera da letto di Lorenzo, lo sorprese durante il sonno sparandogli due colpi di archibugio e finendolo con 14 pugnalate. 

     In seguito, assieme ai suoi uomini, si lanciò all'assalto delle varie stanze del castello uccidendo gran parte degli occupanti compreso Simone Alberti, fratellino di 9 anni di Lorenzo, mortalmente sbattuto contro una roccia. Da tale massacro furono risparmiati Caterina Cortez, Antonietta Alberti, la sorellina Teodora, il fratellino Luca, la madre Donna Giovanna e Don Petrillo Cortez, preso in ostaggio come garanzia contro eventuali ritorsioni del Viceré verso gli Abenavoli. 

     Dopo la strage Bernardino trascinò nel suo castello a Montebello Ionico l'ostaggio Don Petrillo Cortez e l'amata Antonietta, che sposò nella chiesa dittereale di San Nicola il 19 aprile 1686. 

   La notizia della strage in pochi giorni giunse al Governatore di Reggio, quindi al Viceré che inviò una vera e propria spedizione militare. L'esercito, sbarcato in Calabria, attaccò il Castello degli Abenavoli, liberò Petrillo e Antonietta Cortez, e catturò sette degli esecutori della strage (compreso lo Scrufari), le cui teste furono tagliate ed appese ai merli del castello di Pentidattilo. 

    Il barone Abenavoli, grazie a vari espedienti e appoggi, riuscì a sfuggire alle truppe del Viceré insieme ad Antonietta e, dopo aver affidato la moglie ad un convento, scappò prima a Malta ed in seguito a Vienna dove entrò nell'esercito austriaco. Nominato capitano, fu ucciso da una palla di cannone durante una battaglia navale il 21 agosto 1692. 

    Antonietta Alberti, il cui matrimonio con Bernardino fu annullato dalla Sacra Rota nel 1690 perché contratto per effetto di violenza, finì i suoi giorni nel convento di clausura di Reggio Calabria, consumata dal dolore e dell'angoscia di essere stata lei l'involontaria causa dell'eccidio della sua famiglia. 

    Uno dei pochi superstiti fu Luca Alberti, di soli 17 anni, fondatore dell'omonima famiglia nobile che si insediò nei territori Siciliani e che morì di tubercolosi nel 1734. 

     La storia della Strage degli Alberti nel corso dei secoli ha dato origini a varie leggende e dicerie. Una di queste afferma che un giorno l'enorme mano si abbatterà sugli uomini per punirli della loro sete di sangue. Un'altra dice che le torri in pietra che sovrastano il paese rappresentano le dita insanguinate della mano del barone Abenavoli (per questo motivo Pentidattilo è stata più volte indicata come "la mano del Diavolo"). Un'altra infine narra che la sera, in inverno, quando il vento è violento tra le gole della montagna si riescono ancora a sentire le urla del marchese Lorenzo Alberti, mentre nelle sere di sola luna piena, si possono udire lamenti provenire dall'alto della montagna: probabilmente si tratta dei morti che, dall'aldilà, reclamano vendetta.





























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