Marrakech, dopo due giorni in una città sia pure affascinante ma circondati dal fumo delle auto e delle moto più inquinanti del pianeta, assediati dai commercianti e dai ristoratori ad ogni angolo della Djemaa el-Fna e dei souq, viene voglia di tornare nei deserti o quantomeno in mezzo alla natura, lontani dalla massa e dai troppi esseri umani a volte decisamente molesti e irrispettosi, nonché dai troppi turisti che invadono in gruppo i luoghi che sarebbe bello visitare in santa pace e se non in solitudine. Ad esempio la Medersa di Ali ben Youssef, ricca d’intricati intagli nella cupole di legno di cedro e dal fantastico cortile dove si è circondati da meraviglie ispano-moresche, colorati mosaici, stucchi in stile iracheno dai grafismi intrecciati tra foglie e nodi. Questa scuola teologica, un centro di studi coranici fondato nel XIV secolo, era un tempo la più grande di tutto il nord Africa e nella sue 132 celle ospitava ben 900 giovani.
Dopo aver visitato il bel palazzo Mnebhi, sede del Museo di Marrakech, e la Koubba Ba’diyn un tempio del XII secolo, ci siamo volutamente persi in Vespa nelle strette vie della medina e dei souq per ritrovarci nuovamente nella piazza principale di Marrakech con la sua animata vita serale: per la seconda sera siamo rimasti leggermente delusi dai piccoli ristoranti nella Djemaa el-Fna e dal loro rapporto qualità-quantità e prezzo.
La Medersa di Ali ben Youssef
Palazzo Mnebhi, sede del Museo di Marrakech
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