Il sole e il cielo azzurro terso del Marocco hanno accompagnato la prima giornata esplorativa di Marrakech dedicata alla Medina, agli immensi e variopinti souq e alla Djemaa el-Fna, la piazza per eccellenza della città, un tempo il luogo delle esecuzioni da cui le deriva il nome che significa “assemblea dei morti”. Oggi la piazza è un teatro di strada a cielo aperto dove gli incantatori di serpenti suonano l’oboe per ipnotizzare i cobra dalla bocca cucita (da denunciare al WWF), gli scooter sfrecciano pericolosamente ad ogni angolo comprese le viuzze dei souq, i venditori d’acqua in costume sbattono le tazze d’ottone invitando la gente a bere e i musicisti gnaoua dimenano le nappe dei fez per far sorridere la gente e spillare qualche moneta mentre i calessi trainati da cavalli cercano turisti da trasportare.
Al calar del sole la piazza prende energia e vita: un centinaio di piccoli ristoranti vengono montati e si preparano ad accogliere i clienti con i loro insistenti camerieri e le luci scintillanti mentre l’area si riempie di astologi, guaritori, danzatori del ventre travestiti da donna, cantastorie, dentisti con barattoli pieni di denti, donne e bambini che vengono deliziosi biscotti al cocco per 1 solo dirahm (meno di 10 centesimi di euro).
Per questo e altro la Djemaa el-Fna nel 2001 è stata dichiarata dall’UNESCO un capolavoro del Patrimonio orale e immateriale dell’Umanità. E a ragione.
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